La residenza fiscale delle Persone Giuridiche: riflessioni introduttive

Articolo scritto da: Dott. Pier Luigi Sterzi

L’esterovestizione di un soggetto può essere definita, in una accezione generale, come un fenomeno dissociativo fra residenza formale e residenza sostanziale, posta in essere al fine di beneficiare di un regime fiscale più vantaggioso rispetto a quello del Paese di effettiva appartenenza.
Il punto di partenza, nell’analisi del fenomeno in esame, è perciò il concetto stesso di residenza fiscale, disciplinato nel nostro ordinamento dall’art. 73 3° comma per le persone giuridiche – per il quale “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
E’ appena il caso di ricordare che, oltre che dalle norme di diritto interno, la residenza viene regolamentata dalle norme previste nelle convenzioni bilaterali contro la doppia tassazione internazionale.
La norma di fonte pattizia serve, in particolare, a risolvere i conflitti di residenza tra due diversi Stati che considerano, entrambi, il medesimo soggetto residente nel proprio territorio nazionale.
La disposizione convenzionale stabilisce, perciò, un criterio univoco per determinare la residenza di un soggetto, oppure un sistema di graduazione dei diversi criteri di collegamento: nelle convenzioni stipulate in conformità del modello OCSE, la prima metodologia viene utilizzata per le persone giuridiche, prevedendo, quale criterio unico per la risoluzione dei conflitti di residenza, il criterio del “place of effective management”, mentre la seconda metodologia viene utilizzata per le persone fisiche, dove la residenza viene stabilita avendo riguardo, in linea gerarchica, al luogo dell’abitazione principale, al centro degli interessi vitali, al luogo in cui soggiorna abitualmente ed infine alla nazionalità del soggetto.

Per capire la portata concreta della norma convenzionale in relazione al fenomeno delle esterovestizioni, si deve sottolineare che, quando vi sia un effettivo conflitto di residenza tra i due Paesi contraenti, e nei limiti delle disposizioni contenute nella convenzione, l’unico criterio valorizzabile per stabilire la residenza del contribuente è quello previsto dalla norma pattizia, in quanto quest’ultima, per il principio di specialità, deve ritenersi prevalente rispetto alle norme dell’ordinamento interno.
Ciò comporta che l’amministrazione finanziaria, al fine di fissare, ad esempio, la residenza di una società con sede legale in uno Stato con cui è stata stipulata una convenzione bilaterale (e quindi ivi residente in applicazione della normativa interna di quest’ultimo), non potrà fare leva sulla localizzazione dell’oggetto dell’attività, ma potrà unicamente valorizzare il criterio previsto dalla norma convenzionale (il “place of effective management” appunto).

Il place of effective management

Per il fine che ci si è prefissati, è bene iniziare dall’analisi del concetto di “sede di direzione effettiva”, che rappresenta, come detto, il criterio fondamentale per la determinazione della residenza sostanziale degli enti, soprattutto in virtù della sua valenza come criterio convenzionale per dirimere i conflitti di residenza. Inoltre, come sottolineato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, il criterio del “place of effective management” può ben essere tradotto con il concetto di “sede dell’amministrazione”, previsto dall’art. 73 del Tuir, sicché i due concetti possono ritenersi equivalenti.
In sede di commentario OCSE, vengono fornite alcune linee guida interpretative: secondo tale documento, la “sede di direzione effettiva” deve essere individuata nel luogo di assunzione delle decisioni chiave (di natura gestionale e commerciale) necessarie per la conduzione dell’attività della persona giuridica, nel luogo dove la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di maggior rilievo assumono ufficialmente le loro decisioni, o ancora nel luogo di determinazione delle strategie che dovranno essere adottate dall’ente nel suo insieme. La valutazione di tali elementi deve essere sempre fatta in un’ottica di prevalenza della sostanza sulla forma, come ricorda esplicitamente lo stesso commentario per cui “la determinazione del luogo della direzione effettiva è una questione di fatto, nella quale occorre far prevalere la sostanza sulla forma”.
L’individuazione della sede di direzione effettiva con il luogo da cui promanano le direttive del vertice societario è condivisa anche dalla giurisprudenza interna sia in ambito propriamente tributario, sia in ambito più prettamente civilistico, posto che il concetto di “sede dell’amministrazione” si ritrova anche nella definizione civilistica di residenza per le persone giuridiche, ai sensi dell’art. 25 l. n. 218/1995.
In prima battuta, perciò, la sede dell’amministrazione può essere concretamente individuata nell’effettivo luogo dove il consiglio di amministrazione (o comunque l’organo gestorio) si riunisce e delibera, o, nei casi di delega (amministratore delegato o comitato esecutivo), il luogo dove la delega viene materialmente adempiuta, sempreché essa non si rilevi una pura “ripetizione non autonoma” delle decisioni già prese in sede di Cda .
Sempre in una visione sostanzialistica del criterio del “place of effective management ”, potrà essere valorizzato anche il luogo in cui venga convocata l’assemblea dei soci, quando sia dimostrabile che il potere gestorio dell’ente sia detenuto nella sostanza da uno o più soci di riferimento, o, addirittura, il luogo di residenza di un socio, qualora il suo grado di ingerenza nell’amministrazione dell’ente risulti molto evidente, tale da ritenere l’ente stesso una sua mera “appendice”.
Sotto quest’ultimo profilo, l’interpretazione del criterio della “sede dell’amministrazione” pone alcuni rilevanti problematiche, in particolare con riguardo alle società appartenenti a gruppi societari. All’interno dei gruppi, infatti, il potere gestorio di ciascuna società è sempre condizionato, secondo gradi di intensità diversi, dall’attività di “direzione e coordinamento” svolta dalla società capogruppo, che stabilisce le linee strategiche, definisce l’assetto organizzativo e decide sulle operazioni di maggior rilevanza per l’intero gruppo, anche qualora esse vengano poi poste in essere in capo ad una società partecipata.
In tale contesto, la sede di direzione effettiva non potrà essere intesa come il luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche, in quanto tali decisioni vengono assunte a livello della capogruppo (o comunque, a livello di altre società sopraordinate), ma dovrà essere interpretato come il luogo in cui vengono assunte le decisioni relative all’amministrazione propria dell’ente, che in una società appartenente ad un gruppo societario, si limitano tendenzialmente alla “gestione e direzione quotidiana”. Diversamente, si assisterebbe all’inaccettabile conclusione che il “place of effective management” di tutte (o quantomeno gran parte) delle società appartenenti ad un gruppo debba essere ricondotto presso le strutture di comando della capogruppo, con la conseguenza che, qualora non sia evidente il radicamento delle società nel territorio degli Stati esteri in cui sono situate le loro sedi legali, esse potrebbero essere considerate fiscalmente residenti nello Stato della capogruppo, con buona pace della libertà di stabilimento garantita in sede comunitaria .
Per stabilire, perciò, quando l’ingerenza del socio rientri nell’attività di direzione e controllo e quando invece ne ecceda, sostituendosi alla stessa attività di amministrazione dell’ente controllato, si dovrà avere riguardo all’attività che si è definita di “gestione e direzione quotidiana dell’ente”: essa si concretizza, in sostanza, in tutte le attività “ordinarie” e caratterizzate da una certa continuità, come, ad esempio, l’attività di organizzazione e di controllo dei processi e dei fattori produttivi, la gestione del personale, le attività di relazione con i terzi, la stipula di contratti inerenti alla gestione ordinaria, gli incassi e i pagamenti (significativo è ad esempio stabilire chi ha l’effettiva titolarità dei conti correnti intestati all’ente e chi di fatto ne dispone), gli adempimenti fiscali. Si dovrà però avere attenzione a non confondere questa tipologia di attività con una mera attività di back office: la “gestione e direzione ordinaria” deve comunque esprimere un’attività di direzione, in cui la componente decisionale e di responsabilità deve essere preminente.
Se, perciò, tutte, o quantomeno la maggior parte, di queste attività di “ordinaria amministrazione” possono essere ricondotte direttamente al socio, ben si potrebbe sostenere che l’ente viene di fatto amministrato direttamente dal socio di riferimento, e quindi la sede dell’amministrazione potrà essere ragionevolmente individuata nella sede stessa della capogruppo.
Contrariamente, invece, se nella società partecipata si riscontra l’autonomo svolgimento delle attività di “gestione quotidiana”, ancorché ridotte ai minimi termini per effetto della penetrante ingerenza della capogruppo, non potrà essere legittimamente affermato che la sede dell’amministrazione dell’ente debba essere individuata presso la sede della capogruppo, ma andrà individuata nel luogo in cui concretamente le attività di gestione ordinaria vengono svolte .

Ma anche al di là di quanto finora precisato, la localizzazione della sede di direzione effettiva per le società appartenenti a gruppi societari dovrebbe avvenire avendo ben presente la tendenza a concentrare, in capo alla capogruppo, le decisioni strategiche per tutte le società controllate. Per le società appartenenti a gruppi societari, perciò, l’individuazione della sede di direzione presso i locali di comando della controllante, potrà essere legittimamente sostenuta solo se lo svuotamento decisionale della controllata risulti tale da eccedere il “tradizionale” accentramento delle “funzioni decisorie” in seno alla capogruppo. Il confronto non dovrà però essere fatto solamente in relazione ad un fantomatico “grado di accentramento” medio, riscontrabile negli altri gruppi societari, ma dovrà sopratutto essere svolto in relazione a quanto succede nei confronti delle altre società del medesimo gruppo. Così, se per tutte le società consociate si riscontra l’accentramento delle funzioni di pianificazione strategica, finanza e coordinamento amministrativo e contabile, in capo alla controllante, queste attività non potranno essere valorizzate per determinare il luogo in cui deve essere localizzato il “place of effective management” della singola controllata.
Alla luce di quanto sin qui rappresentato, va ribadito, quindi, che nel configurare l’“esterovestizione” non rilevano elementi strutturali quali l’attività di direzione e coordinamento strategico, o l’attività accentrata di “gestione” di taluni servizi finalizzata al risparmio di costi, elementi questi che sono del tutto connaturati ed ordinari nel fenomeno che possiamo definire “di gruppo”, e che nulla c’entrano, a ben vedere, con la residenza fiscale della singola società che lo compone..

Un altro profilo da considerare per una corretta interpretazione del criterio del “place of effetcitve management” è il seguente.

L’attività di amministrazione – sia se intesa come attività di determinazione delle scelte strategiche, sia, nel caso dei gruppi societari, come “gestione ordinaria” dell’ente – risulta essere un’attività tendenzialmente priva di un chiaro collegamento territoriale, essendo essenzialmente basata su processi cognitivi e relazionali, che, grazie anche alle moderne tecnologie, possono essere comunicati e resi esecutivi in tempi brevissimi anche in luoghi molto distanti uno dall’altro.
Se si vuole garantire la sostanzialità del criterio della “sede di direzione effettiva”, non si potrà ritenere sufficiente, al fine della verifica dello stesso, l’individuazione del luogo in cui si sono svolte le riunioni dei soggetti che amministrano l’ente, in quanto la sola valorizzazione di questi elementi comporterebbe, data la facilità di trasferimento dei soggetti e la possibilità di utilizzare forme di riunione a distanza (ad esempio la videoconferenza) , la possibilità per il contribuente di localizzare il “place of effective management” a proprio piacimento, sganciandolo perciò dallo Stato di effettiva residenza. Inoltre, la valorizzazione del solo luogo in cui gli amministratori si riuniscono per deliberare, non garantisce che l’attività di amministrazione si sia lì effettivamente svolta con la continuità temporale prevista dalle norme sulla residenza, in quanto le riunioni dell’organo gestorio sono solamente momenti “istantanei”, la cui frequenza nell’anno è solitamente limitata.
Per determinare in modo sostanziale il luogo di localizzazione del “place of effective management”, diviene allora maggiormente significativa la figura stessa delle persone fisiche che amministrano l’ente, ed in particolare la loro residenza.
Si deve infatti tener conto che, in sede processuale, l’accertamento della localizzazione della sede di gestione effettiva avverrà inevitabilmente sulla base di elementi indiziari, proprio per effetto della “alta volatilità territoriale” dell’attività di amministrazione e dell’interpretazione “aperta” del criterio in esame: nell’influenzare il libero convincimento del giudice, sarà allora fondamentale apportare presunzioni (ancorché semplici) che risultino ragionevoli ed in linea con comportamenti “comuni” e tendenzialmente non anti-economici.
Così, ad esempio, qualora l’organo gestorio fosse costituito prevalentemente dai medesimi soggetti che costituiscono il board della capogruppo (tra cui, magari, anche quelli delegati all’amministrazione ordinaria), è ovvio che la presunzione che vi sia “commistione” tra socio di riferimento ed ente partecipato sarà particolarmente forte, e quindi, l’asserzione che il “place of effective management” debba essere individuato nei luoghi di comando della stessa capogruppo sarà più difficile da superare, anche al di là del fatto che il consiglio di amministrazione si fosse effettivamente riunito presso la sede legale della partecipata .

Altrettanto forte risulterà la presunzione che l’attività di amministrazione sia effettivamente svolta nel paese di residenza degli amministratori, quando la maggior parte di essi sia residente in uno stesso Stato diverso da quello in cui ha sede l’ente amministrato: in una siffatta situazione, risulterà poco credibile, perché particolarmente anti-economico, poter pensare che gli amministratori svolgano effettivamente la propria attività decisionale nel paese in cui ha sede la società, ivi trasferendosi “quotidianamente” (o quantomeno con quella continuità prevista dalla norma); risulterà, invece, più logico pensare che i processi decisionali si siano effettivamente formati nel paese di residenza della maggior parte degli amministratori (sia in un primo step come processo decisionale individuale, sia in un secondo step, come processo collettivo dovuto al confronto tra i diversi soggetti).
Come già detto in precedenza, qualora vi siano delle deleghe per l’ordinaria amministrazione a favore di uno o più amministratori, per localizzare la sede di gestione effettiva si dovrà preferire il luogo dove la delega è adempiuta, proprio perché i compiti delegati hanno tendenzialmente una ripetitività temporale che risulta più idonea a stabilire l’esistenza del collegamento territoriale, rispetto alle mansioni che rimangono di competenza dell’organo gestorio nella sua interezza (la straordinaria amministrazione), che sono invece caratterizzate da una frequenza episodica. In questi casi, perciò, la presunzione di residenza dell’ente si baserà più verosimilmente sulla residenza dei soli amministratori delegati, quando si riesca a corroborare ciò con evidenze fattuali che confermino che le deleghe sono effettivamente adempiute da tali soggetti e, quindi, non puramente formali.
E’ in questi termini che va inquadrato il non infrequente caso in cui, in una struttura di gruppo, il presidente del Consiglio di amministrazione della controllante rivesta la medesima carica anche nelle controllate. In questi casi, infatti, spesso il Presidente del CdA delle controllate si limita a svolgere una funzione di mero indirizzo, senza ingerirsi nell’operatività amministrativa e gestionale della società stessa, che in concreto viene affidata agli amministratori delegati o comunque a dirigenti muniti di ampie procure. Ebbene, in siffatti casi è evidente come la particolarità e limitatezza della funzione in questione sia inidonea a far assumere rilevanza, per determinare la residenza fiscale delle controllate, all’attività svolta dal presidente del board.
La stessa identificazione dei soggetti che amministrano l’ente può comportare accertamenti di fatto volti a verificare se l’attività di amministrazione sia effettivamente svolta dai soggetti formalmente investiti del ruolo di amministratori, o se, invece, il potere gestorio dell’ente debba essere ricondotto a soggetti diversi: ciò può succedere, sia con riferimento al socio di riferimento, che spesso risulta essere, come già detto, l’effettivo amministratore dell’ente partecipato, sia in riferimento ad altre figure, che spesso non rivestono nessun ruolo interno alla società, ma l’amministrano per mezzo di rapporti contrattuali di vario genere. Si ricorda, a tal riguardo, il caso deciso dalla Commissione Tributaria Centrale, che ritenne fiscalmente residente in Italia una società panamense che aveva dato formale procura quale “agente generale” ad una persona fisica residente a Napoli, la quale eseguiva di fatto la generalità degli interessi della società. L’ampiezza della procura e gli elementi di fatto riscontrati dall’Amministrazione Finanziaria (l’estrema libertà di manovra e la commistione tra il patrimonio sociale e i conti correnti del procuratore), avevano indotto i giudici a confermare la ricostruzione dell’Ufficio accertatore, che aveva ritenuto residente in Italia la società stessa per avere in Italia (presso il domicilio del procuratore) l’effettiva sede dell’amministrazione.