Continuità aziendale

Soggetti IAS e responsabilità degli amministratori

Con la circolare n. 16/2020 Assonime ha ripercorso le principali novità introdotte dai decreti Liquidità e Rilancio messe in atto per salvaguardare la continuità operativa delle imprese.

Tra queste, una delle più rilevanti riguarda la norma introdotta dall’art.7 del DL 23/2020 e ripresa dall’articolo 38-quater del DL 34/2020, il quale non ha fatto altro che meglio delineare l’ambito applicativo della disposizione, circa la valutazione delle voci e della prospettiva della continuità per i bilanci relativi all’esercizio 2019. Le norme, infatti, permettono di non tenere conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura dell’esercizio, per i bilanci relativi all’esercizio 2019, mentre per i bilanci 2020 permettono di effettuare la valutazione sulla continuità se sussistente nel bilancio precedente, ossia quello relativo al 2019.


L’intento della norma, come chiarito da Assonime, sarebbe in definitiva quello di creare “un campo di applicazione della regola speciale sulla continuità aziendale senza soluzione di continuità che parte dai bilanci relativi agli esercizi chiusi prima del 23 febbraio 2020 e non ancora approvati fino ad arrivare ai bilanci riferiti agli esercizi in corso al 31 dicembre 2020”.


Uno dei punti che aveva maggiormente messo in crisi era in riferimento all’ambito soggettivo di applicazione della norma, in particolare se la disposizione fosse applicabile esclusivamente alle società che redigano il bilancio secondo i principi contabili nazionali o fosse diversamente estensibile anche alle società IAS.


A riguardo, in dottrina si sono divisi due filoni interpretativi differenti, l’uno che ritiene che la valutazione sulla continuità possa essere effettuata unicamente dalle società che redigono il bilancio secondo le regole del codice civile e dei principi OIC, in virtù sia del dato letterale della norma (la quale si riferisce esclusivamente all’art. 2423-bis, comma primo, numero 1, c.c.) e sia della considerazione per la quale non sia consentito al legislatore nazionale incidere sull’applicazione degli IAS/IFRS che sono adottati con regolamento europeo, un’altra invece che ritiene estensibile la possibilità anche alle società IAS, essendo la volontà del legislatore quella di indicare l’oggetto della norma ma non di delimitarne l’ambito di applicazione.


Assonime ritiene che la valutazione della continuità possa essere effettuata anche dalle società IAS per una serie di ragioni. In primis esistono delle ragioni di carattere sistematico, è infatti innegabile che le esigenze alle quali l’art. 38-quater risponde siano comuni all’intero mondo delle imprese, indipendentemente dai principi contabili. Tale considerazione, tuttavia, non sarebbe da sola sufficiente ad estendere l’ambito di applicazione: in aggiunta, Assonime ritiene che oltre a questa esigenza ce ne siano altre relative ai problemi di comparabilità e di disparità di trattamento che la diversa rappresentazione genererebbe. Si pensi, ad esempio, al caso di imprese i cui strumenti finanziari siano trattati su sistemi multilaterali di negoziazione (AIM Italia) che possono scegliere di redigere il bilancio secondo i principi internazionali o le norme nazionali. È evidente come nel caso in questione la rappresentazione differente comporterebbe una non chiara informativa.

La strada per l’applicazione della norma anche alle società IAS sarebbe secondo Assonime contenuta nello IAS1, par.19 e nell’art. 5 del d.lgs. 38/2005. Il primo, infatti, prevede che se la conformità con una disposizione contenuta in un IFRS sia così fuorviante da essere in conflitto con le finalità del bilancio, l’entità debba disattendere la disposizione; il secondo invece prevede che qualora l’applicazione di una disposizione prevista dai principi contabili internazionali sia incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, tale disposizione non sia applicata.

Secondo Assonime, dunque, l’articolo 38-quater rappresenta un chiaro esempio di normativa eccezionale che giustifica la disapplicazione delle regole ordinarie.


Altre osservazioni importanti vengono condotte in merito al profilo della responsabilità degli amministratori. In particolare, viene sottolineato come la deroga offerta dall’art. 38-quater esoneri gli amministratori dall’effettuare qualsiasi tipo di considerazione in merito alla continuità aziendale ai fini della redazione del bilancio (d’esercizio e anche consolidato secondo Assonime). Pertanto, tale norma esaurisce i propri effetti nel contesto contabile non esonerando gli amministratori dall’obbligo di monitoraggio della situazione aziendale e di attuazione degli strumenti previsti per il recupero della continuità aziendale.


Assonime evidenzia infatti come la continuità in ambito contabile assuma un significato differente rispetto alla continuità aziendale di natura sostanziale. Nel primo caso “la mancanza di continuità aziendale si identifica con quella situazione in cui la valutazione prospettica della capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante porti a concludere che, nell’arco temporale futuro di riferimento, non vi sono ragionevoli alternative alla cessazione dell’attività”. Si tratta di una situazione di carattere definitivo.


La continuità aziendale di natura sostanziale, in assenza di uno stato di crisi, riguarda invece una situazione in cui il pregiudizio alla capacità dell’impresa di continuare a operare come entità in funzionamento è di natura potenzialmente reversibile. Questo giustifica l’obbligo per gli amministratori di attivarsi per il suo superamento.